QUESTIONI CONTROVERSE


AMORE INCLUSIVO? 

LA VERITA' 

SULL'UNITA' DELLA CHIESA

Parlare di unità della Chiesa, oggi, è una sfida. Il mondo globale si avvia verso l'unificazione del pensiero, e questo non ci rassicura: sappiamo a cosa prelude. L'idea globalista di "unità" non è altro che la tolleranza di tutto ciò che rispetta una serie di standard umani. Ma sono anche gli standard biblici?

Nessuna unità senza verità

Per quel che penso, il concetto biblico di "unità" si può risolvere nel versetto 17 del capitolo 17 di Giovanni, in cui Gesù prega il Padre dicendo: "Consacrali nella verità. La tua parola è verità".

A dispetto di quanto si crede comunemente, cioè, il fulcro della famosa "preghiera sacerdotale" non è l'unità, ma la verità, senza la quale non può esserci alcuna unità. Mi spiego meglio.

Come afferma il noto evangelista Paul Washer, se non siamo d'accordo sugli attributi di Dio, c'è poco da fare, non può esserci unità tra di noi. La maggior parte dei credenti non farebbe alcuna fatica a riconoscere che Dio è onnisciente, onnipresente ed eterno, ma come la mettiamo quando dichiariamo anche che Egli è giusto, e però permette anche il male? Che Egli è uno, e quindi non divide la Sua gloria con nessuno? Che Egli è santo, e quindi richiede santità?

Faccio un esempio pratico. Se io e te volessimo iniziare un rapporto di amicizia, ma tu avessi una pessima e ingiusta idea di mio padre, quanto sarebbe possibile tutto ciò? Se tu andassi in giro dicendo cose non vere di lui, o addirittura offensive, come potresti venire a casa mia?

Quando Gesù inizia a pregare il Padre, gli dice di non voler pregare per il mondo, ma per coloro che Gli sono stati dati (9). C'è una prima e importante scrematura, che è operata dalla verità.

Si noti che Gesù parla di due uniche possibilità: "quelli che mi hai dato" oppure "il mondo". Più tardi, Gesù rincara la dose e dice "Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo" (15-16).

Insomma, come possiamo reputare "Suo" qualcuno che non ha neanche voglia di aprire la Bibbia per vedere se il proprio Dio corrisponda a quello che è raccontato dalla Genesi all'Apocalisse? Qualcuno che non riconosce che Gesù è esattamente ciò che dice di Sé stesso nella Sua Parola?

E, se è vero che non chiunque dice "Signore, Signore" sarà da Lui riconosciuto, la questione su chi sia Chiesa e chi no è presto risolta.

Amore "inclusivo"? Anche no!

Inutile parlare di amore "inclusivo", se Gesù, l'amore in persona, non lo ha fatto; se Giovanni, l'"apostolo dell'amore", ha definito "anticristo" colui che nega il Padre e il Figlio (1Gv 2:22), posto che "chiunque nega il Figlio, non ha neanche il Padre" (22).

Allora cosa dire di tutte quelle brave persone che credono genericamente in Dio, pur non accettando la verità biblica? Non possiamo tentare di instaurare una sorta di comunione anche con loro?

In 2 Corinzi 6:14-15, Paolo esorta così la Chiesa: "Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo diverso, perché quale relazione c'è tra la giustizia e l'iniquità? E quale comunione c'è tra la luce e le tenebre? E quale armonia c'è fra Cristo e Belial? O che parte ha il fedele con l'infedele?".

Duro, vero? Però non sembra esserci scampo: come Gesù distingue senza indugio i Suoi dal mondo, anche l'apostolo bipartisce nettamente la situazione. Quindi la risposta è no, non può esserci comunione. Il punto è che Gesù non ha pregato per rendere unito ciò che non si può unire. Non ha pregato per fare un ibrido accettabile ai più.

Non siamo stati chiamati a unificare la Chiesa

Diamo uno sguardo a quest'altra richiesta di Gesù al Padre: "Custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. Quand'ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi" (11-12).

Domanda. Il Padre avrà ascoltato, o no, la richiesta del Figlio? Beh, io credo di sì. Non c'è niente da aggiungere. L'unità dei credenti è stata già compiuta da Dio, nel Suo nome, e a noi non tocca altro. Non siamo stati chiamati a unificare la Chiesa.

Non solo: la preghiera di Gesù si estende anche a coloro che dovranno credere in futuro: "Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17: 20-21).

Il mondo, cioè, non è impressionato dall'ecumenismo, ma dal fatto che persone di diverse lingue, nazioni e tribù, in diverse epoche, siano unite in Cristo. Come? Attraverso la Sua gloria data a noi. "E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me" (22-23).

Immagino che anche questa preghiera sia stata già esaudita, soprattutto perché Gesù afferma di aver già dato la Sua gloria ai Suoi, in ogni tempo e luogo. Riassumendo Giovanni 17, in particolare, emerge che Gesù ha realizzato:

- L'UNITA' DEL FIGLIO COL PADRE (21)

- L'UNITA' DEL CREDENTE CON CRISTO (22)

- L'UNITA' DEI CREDENTI DI TUTTE LE EPOCHE (20)

Il nocciolo della questione: l'unità visibile

Il problema è che l'obiettivo biblico dell'unità viene spesso mancato. Non si tratta, infatti, dell'unità di tutti coloro che si definiscono credenti, ma dei "Suoi", cioè di coloro che appartengono a Cristo. Ciò che Cristo ha fatto nell'invisibile, ora va reso visibile.

Allo stesso modo, sappiamo che Cristo ha reso santa la Sua sposa; ora, si tratta di camminare in santità.

Leggiamo Efesini 4:1-6:

"Io dunque, il prigioniero per il Signore, vi esorto a camminare nel modo degno della vocazione a cui siete stati chiamati, con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri nell'amore, studiandovi di conservare l'unità dello Spirito nel vincolo della pace. Vi è un unico corpo e un unico Spirito, come pure siete stati chiamati nell'unica speranza della vostra vocazione. Vi è un unico Signore, un'unica fede, un unico battesimo, un Dio unico e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in voi tutti".

In poche parole, Paolo sta definendo l'unità dottrinale della Chiesa, perché la garanzia dell'unità è data dalla verità, come abbiamo visto in in Gv 17:17. Schematizzando, l'unità dottrinale consiste in:

  • Un UNICO CORPO: la chiesa, il cui capo è Cristo (4)
  • Un UNICO SPIRITO: lo Spirito Santo, che opera ravvedimento, conversione, prodigi, miracoli e dispensa doni e ministeri (4)
  • Un'UNICA SPERANZA: la speranza nella resurrezione finale e nella gloria eterna (4)
  • Un UNICO SIGNORE: Gesù Cristo, unica Via che porta al Padre (5)
  • Un'UNICA FEDE: la fede nel sacrificio liberatorio di Cristo (5)
  • Un UNICO BATTESIMO: il battesimo per immersione (5)
  • Un UNICO DIO E PADRE: il Dio trino, che ha fatto ogni cosa per Cristo e attraverso Cristo (6)

Chi ha queste cose (e non chi non le ha) deve sforzarsi di rispecchiarle in modo visibile, "nel vincolo della pace". Questa è la sfida!

Non ci sono altre chiamate. Non dobbiamo aprire "tavole rotonde" per ridiscutere le intenzioni di Dio. Non possiamo illuderci di avere qualcosa in comune con chi non ha la verità, anzi: sforziamoci piuttosto di mostrargliela! Anziché tranquillizzare la coscienza di chi è lontano, mettiamogli un pungolo, sapendo che ne va della salvezza.

È possibile realizzare l'unità a livello visibile? La Parola ci dice di sì.

Nel giorno di Pentecoste, i discepoli "erano tutti riuniti con una sola mente nello stesso luogo" (At 2:1). Dunque:

- UN'UNICA MENTE

- UN UNICO LUOGO

E man mano che la Chiesa cresceva, "il gran numero di coloro che avevano creduto era di un sol cuore e di una sola anima; nessuno diceva esser suo quello che aveva, ma tutte le cose erano in comune fra di loro" (At 4:32). Dunque:

- UN UNICO CUORE

- UN'UNICA ANIMA

La Chiesa primitiva sperimentò la potenza di Dio innanzitutto perché ubbidì al comando di Gesù di non allontanarsi da Gerusalemme per aspettare la promessa dello Spirito Santo (At 1:4). Si ritrovò, dunque, riunita (unico luogo) per un unico scopo (unica mente).

A questo punto, chiediamoci: possiamo dire lo stesso di noi e della nostra chiesa locale? Abbiamo un unico scopo? E se sì, qual è?

È proprio questo che ha in mente l'apostolo Paolo, quando scrive, in Filippesi 2:2-7:

"Rendete perfetta la mia gioia, avendo uno stesso modo di pensare, uno stesso amore, un solo accordo e una sola mente non facendo nulla per rivalità o vanagloria, ma con umiltà, ciascuno di voi stimando gli altri più di sè stesso. Non cerchi ciascuno unicamente il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi lo stesso sentimento che già è stato in Cristo Gesù, il quale, essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l'essere uguale a Dio, ma svuotò sé stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini".

Come Gesù ha pregato per la chiesa universale, Paolo lo ha fatto per quella locale. È da qui che dobbiamo partire, e realizzare:

- UN SOLO MODO DI PENSARE (2)

- UN SOLO AMORE (2)

- UN SOLO ACCORDO (2)

- UNA SOLA MENTE (2)

- UN SOLO SENTIMENTO (5)

Ma è proprio l'unità il messaggio di Paolo, in questo caso?

La strada maestra: la santità

Mi sembra che l'apostolo si focalizzi piuttosto su come arrivare all'unità, quindi sulla santità. La conseguenza dell'imitare Cristo, che si umiliò fino a "svuotare sé stesso", è l'amore. Da esso deriva l'unità.

Schematizzando: Verità→ Santità→ Amore→ Unità. Paradossalmente, però c'è qualcuno che pensa che si possa invertire il processo!

Perché non riusciamo più a realizzare tutto ciò?

C'è un problema grave che affligge la chiesa contemporanea, che non è assolutamente la mancanza di unità con chi non ha il Cristo biblico, bensì la mancanza di coerenza con la Parola di Dio.

La parola co-haerentia fa riferimento a un'unione stretta a indissolubile con qualche cosa. A chi siamo uniti?

In virtù di Giovanni 17 sappiamo che siamo uniti al Padre, in Cristo. Ma l'abbassamento degli standard di santità a cui stiamo assistendo sta avendo conseguenze catastrofiche.

La questione non è che non ci sono buone relazioni tra credenti, ma che i credenti non hanno una buona relazione con sé stessi. Spesso la santità viene vissuta come una serie di privazioni, anziché come un obiettivo glorioso, e così non c'è coerenza tra lo Spirito e l'anima, essendo quest'ultima travolta dalle attrattive/sollecitudini di questo mondo.

Il credente moderno soffre di una forte dissociazione spirituale ed emotiva, perché, anziché separare da sé stesso ciò che non è buono, preferisce separare la vita ecclesiale rispetto a quella privata, e quest'ultima rispetto alla vita pubblica, entrando di volta in volta in modalità differenti. Relativizzare la Parola di Dio significa impedirle di guarire la persona, e così anche le relazioni.

E questa era la preoccupazione di Gesù. Prima di buttarci nella girandola delle conferenze psicologiche sulle relazioni, quindi, dovremmo tornare a insegnare che la Parola è l'unica cura alla nostra personale dissociazione -e conseguente incoerenza.

"La parola di Dio, infatti, è viva ed efficace. È più tagliente di qualunque spada a doppio taglio. Penetra a fondo, fino al punto dove si incontrano l'anima e lo spirito, fin là dove si toccano le giunture e le midolla. Conosce e giudica anche i sentimenti e i pensieri del cuore. Non c'è nulla che possa restar nascosto a Dio. Davanti ai suoi occhi tutte le cose sono nude e scoperte. E noi dobbiamo rendere conto a lui" (Eb 4:12-16).

Lavorare per l'unità significa lavorare per la santità. Decidere di fare aderire ogni cosa di noi stessi agli standard di Dio è il presupposto-base per recuperare l'integrità della nostra persona e delle nostre relazioni.

Il requisito è la verità; l'obiettivo è l'unità visibile; il mezzo è la santità, da cui scaturisce l'amore.

Dio ci benedica!


TERRA COMPROMESSA: 

5 ARGOMENTI BIBLICI CONTRO IL SIONISMO 

NEL CRISTIANESIMO MODERNO

È bastato davvero poco a scatenare la faziosità in una grossa fetta del popolo cristiano nel mondo.

Noi amiamo Israele e simpatizziamo con il popolo che per primo fu scelto da Dio per mostrare la Sua gloria tra le genti; condanniamo l'atto terroristico di Hamas e rigettiamo qualsiasi forma di violenza, e di qualsiasi colore politico. Ma questo non può voler dire appoggio incondizionato a tutto ciò che Israele dice e fa, politicamente e militarmente. Perché il sionismo- di questo si tratta- altro non è che estremismo.

Che una guerra epocale sia in atto in Palestina, è un dato di fatto: tra un bombardamento e un lancio di pietre, tra un atto terroristico e una risoluzione violata, la questione israelo-palestinese si trascina stancamente da tempo immemore, e le cause storico-politiche si intrecciano alle velleità nazionalistiche, patinate di ideologia religiosa, di entrambi i popoli.

Tanto premesso, la domanda cruciale per noi cristiani è: che posizione dovremmo assumere in merito a questa situazione? Dobbiamo sostenere Israele o condannare la guerra?

Il mondo cristiano appare diviso, in tal senso, e soprattutto indeciso, se non confuso, sulla corretta interpretazione delle Scritture a proposito del ruolo di Israele nell'attuale contesto spirituale, oltre che geopolitico. Eppure, a noi sembra che la Parola di Dio abbia tanto da dire. Bibbia alla mano, quindi, facciamo un po' di chiarezza, partendo da una premessa storica.

1. Il sionismo è un movimento politico e ideologico, che non ha nulla di spirituale, ed è estraneo sia al giudaismo, che alle Scritture.

Le rivendicazioni territoriali di Israele non sono la diretta conseguenza dell'interpretazione della Torah, ma delle istanze del sionismo, il movimento politico fondato alla fine del 1800 che incita gli Ebrei al ritorno nella "terra promessa" e all'allontanamento dei non Ebrei. Il suo fondatore è il giornalista austriaco Theodore Herzl, il quale, preso atto delle continue persecuzioni a cui gli Ebrei erano sottoposti, si fece promotore dell'idea che a Israele spettasse un proprio Stato in Palestina.

Senza entrare nel merito della questione dell'autodeterminazione di un popolo, che riteniamo legittima, dobbiamo specificare, però, che il sionismo ha assunto connotazioni nazionalistiche, con tutte le conseguenze possibili, e cioè l'intolleranza e la discriminazione dell'elemento etnico non ebraico presente in Palestina. In più, il sionismo è stato manovrato e finanziato da varie potenze mondiali allo scopo di destabilizzare il Medio-Oriente, e si è imposto, da un lato, sulla scia della strumentalizzazione dell'Olocausto; dall'altro, sulla manipolazione del testo biblico a scopo politico.

È quanto denunciano gli Ebrei che hanno preso le distanze dal sionismo, specificando che la fede giudaica condanna ogni forma di violenza. Queste le parole del Rabbi Yisroel Dovid Weiis: "Vogliamo che il mondo sappia che il movimento sionista non è un movimento ebraico. È stato un movimento politico e materiale creato da eretici che semplicemente cercano di inglobare la nostra religione nel tentativo di intimidire e mettere a tacere le persone che si oppongono, definendole antisemite" (www-infopal-it.cdn.ampproject.org).

Come è facile immaginare, il sionismo ha allungato i suoi tentacoli anche sui media, che stanno propagandando una versione "occidentalista" della guerra in corso (D. De Villepin) e inculcando l'idea che Israele abbia il diritto di perpetrare qualsiasi atrocità pur di arrivare ai propri scopi. E, incredibilmente, molti cristiani sono caduti nel tranello, ritenendo che la Parola supporti Israele nel suo comportamento aggressivo. Ma le cose stanno davvero così?

Una lettura attenta delle Scritture ci mostrerà che Dio non ha nessuna intenzione di assecondare le pretese del Sionismo: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi combatterebbero affinché io non fossi dato in mano dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui" (Gv 18:36).

2. L'elezione di Israele è "senza pentimento" (Rm 11:29), ma è finalizzata alla salvezza e funziona allo stesso modo dell'elezione di tutti gli altri figli di Dio.

Nella cristianità esistono due movimenti d'opinione opposti a proposito dell'elezione di Israele: quello che ritiene che Israele sia stato rigettato per sempre da Dio, in quanto ha rifiutato Cristo come Messia e lo ha, addirittura. crocifisso, e quello che sostiene l'elezione permanente di Israele, intesa come una sorta di "corsia preferenziale" per ereditare le promesse, a prescindere dalla propria condizione spirituale.

L'epistola ai Romani, al capitolo 11, ci restituisce una visione equilibrata delle cose. L'apostolo Paolo, infatti, ci ricorda che Dio ha, sì, rigettato Israele per la sua disubbidienza, ma gli ha anche promesso di suscitare un residuo a cui concedere la salvezza (vv. 1-5). I gentili vengono ammoniti a non insuperbirsi verso Israele, in quanto è stata la debolezza di Israele a concedere loro l'ammissione alla grazia, e sarà la loro pienezza a favorire la riammissione alla grazia di Israele (vv. 11-15). L'ulivo selvatico (i gentili) è stato innestato nell'ulivo domestico (gli Israeliti), v. 24. "Poiché Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza, per far misericordia a tutti", v. 32.

Paolo, cioè, mette gli Israeliti e i gentili sullo stesso piano: non conta la storia o la provenienza di ciascun popolo, ma solo il residuo dei salvati, a cui è concessa la stessa misericordia. Non è, quindi, accettabile, la tesi di coloro che si spingono, addirittura, a sostenere che tutti gli Israeliti saranno salvati, manipolando il seguente versetto: "e così tutto Israele sarà salvato come sta scritto: «Il liberatore verrà da Sion, e rimuoverà l'empietà da Giacobbe. E questo sarà il mio patto con loro, quando io avrò tolto via i loro peccati»", vv. 26-27.

Infatti, come vedremo al punto 3, il termine "Israele" si riferisce a tutta la progenie spirituale di Abramo, che include Israeliti e non. In questo capitolo dei Romani, Paolo parla di un residuo di salvati, come anticipato in Rm 9:27: "Ma Isaia esclama riguardo a Israele: «Anche se il numero dei figli d'Israele fosse come la sabbia del mare, solo il residuo sarà salvato»".

3. Le promesse di Dio sono riservate solo ai Suoi figli: non a coloro che si ritengono tali per nascita, ma a quelli che lo diventano per fede.

Si osservi quanto afferma Paolo nei seguenti passi, che abbiamo voluto mettere in evidenza perché riteniamo di un'importanza cruciale:

Rm 9:6-8: "non tutti quelli che sono d'Israele sono Israele. E neppure perché sono progenie di Abrahamo sono tutti figli; ma: «In Isacco ti sarà nominata una progenie». Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio, ma i figli della promessa sono considerati come progenie".

Ga 3:6-7: "Così Abrahamo «credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia»; sappiate pure che coloro che sono dalla fede sono figli di Abrahamo".

• Ga 3:28-29: "non c'è né Giudeo né Greco, non c'è né schiavo né libero, non c'è né maschio né femmina, perché tutti siete uno in Cristo Gesù. Ora, se siete di Cristo, siete dunque progenie d'Abrahamo ed eredi secondo la promessa".

• Rm 2:28: "Infatti il Giudeo non è colui che appare tale all'esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente, e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, e non nella lettera".

Se ci fosse ancora bisogno di commenti, appare fin troppo evidente che la condizione di Israelita viene collegata a un'esperienza spirituale sincera, indipendentemente dall'etnia. Gesù stesso disse di Nathanaele: "Ecco un vero Israelita nel quale non c'è inganno" (Gv 1:47).

Come abbiamo visto in Galati 3:29, l'essere vera progenie di Abrahamo comporta il diritto di ereditare le promesse: ma quali promesse?

4. La ricompensa per i figli di Dio è uguale per tutti e non consiste in beni materiali, ma in beni spirituali del Regno.

La parabola degli operai dell'ultima ora (Mt 20:1-16) non lascia spazio a dubbi: per quanto a qualcuno possa sembrare ingiusto, la ricompensa per i servi di Cristo di ogni tempo è sempre la stessa.

E in cosa consiste questa ricompensa? In beni materiali?

Assolutamente no. I brani riportati di seguito ci illustrano che Gesù è venuto a stabilire un regno spirituale, e non terreno; siamo stati chiamati a far morire le opere della carne e a praticare la pace "in un sol corpo", perchè la nostra cittadinanza è nei cieli.

At 14:20-21: "E, dopo aver evangelizzato quella città e fatto molti discepoli, se ne ritornarono a Listra, a Iconio e ad Antiochia, confermando gli animi dei discepoli e esortandoli a perseverare nella fede, e dicendo che attraverso molte afflizioni dobbiamo entrare nel regno di Dio".

• Col 3:1-15: "Se dunque siete risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Abbiate in mente le cose di lassù, non quelle che sono sulla terra, perché voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio (…). Fate dunque morire le vostre membra che sono sulla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e avidità, che è idolatria; per queste cose l'ira di Dio viene sui figli della disubbidienza, fra cui un tempo camminaste anche voi, quando vivevate in esse. Ma ora deponete anche voi tutte queste cose: ira, collera, cattiveria (…). Qui non c'è più Greco e Giudeo, circonciso e incirconciso, barbaro e Scita, servo e libero, ma Cristo è tutto e in tutti (…). E sopra tutte queste cose, rivestitevi dell'amore, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Dio, alla quale siete stati chiamati in un sol corpo, regni nei vostri cuori".

• Fl 3:20: "La nostra cittadinanza infatti è nei cieli, da dove aspettiamo pure il Salvatore, il Signor Gesù Cristo".

È plausibile, dunque, pensare che agli Israeliti tocchi qualcosa in più oltre alle cose celesti, nello specifico la terra?

Il passo più strumentalizzato per sostenere l'eredità terrena degli Israeliti è Isaia 65:9: "Io farò uscire da Giacobbe una progenie e da Giuda un erede dei miei monti; i miei eletti possederanno il paese e i miei servi vi abiteranno". Se, però, leggiamo anche il Salmo 37, al v. 29 scopriamo che "i giusti erediteranno la terra e godranno abbondanza di pace": l'eredità, quindi, è destinata ai "giusti", e non a una singola etnia, e il possesso della terra è associato ad "abbondanza di pace".

Come si può giustificare, dunque, una guerra finalizzata al possesso della terra? Qualsiasi cosa rappresenti la terra, non può che trattarsi di una terra spirituale!

Si leggano, a tal proposito, i seguenti versi: "Infatti la promessa di essere erede del mondo non fu fatta ad Abrahamo e alla sua progenie mediante la legge, ma attraverso la giustizia della fede. Poiché se sono eredi quelli che sono della legge, la fede è resa vana e la promessa è annullata, perché la legge produce ira; infatti dove non c'è legge, non vi è neppure trasgressione. Perciò l'eredità è per fede; in tal modo essa è per grazia, affinché la promessa sia assicurata a tutta la progenie, non solamente a quella che è dalla legge, ma anche a quella che deriva dalla fede di Abrahamo", Rm 4:13-16. Qui Paolo conferma che:

- La promessa è di ereditare il mondo, non un singolo pezzo di terra.

- La promessa si ottiene per fede, e non per la legge.

- La promessa è per tutta la progenie di Abrahamo che attua la fede, sia la progenie carnale che quella spirituale.

Urge, a questo punto, un chiarimento circa il famoso argomento della terra contesa perché abitata dai due discendenti di Abrahamo, Isacco e Ismaele, l'ultimo dei quali non previsto nel piano perfetto di Dio; gli Ismaeliti, secondo questa supposizione, sarebbero, ancora oggi, una spina nel fianco dei fratellastri, discendenti di Isacco.

In Genesi 15:18-21, Dio promette alla discendenza di Abrahamo il territorio che va dal Nilo all'Eufrate; successivamente, al v. 12, promette ad Agar, madre di Ismaele, di fare anche di lui un popolo numerosissimo che "abiterà di fronte ai suoi fratelli", da Avila a Sur (Ge 25:18), un territorio che corrisponde alla penisola arabica.

Attenzione. Un conto è il patto, che il Signore ha stabilito solo con i discendenti di Isacco (Ge 17:19), un conto è la terra, che Egli ha assegnato a tutta la discendenza di Abrahamo (ricordiamo che, nella discendenza di Abrahamo, non ci sono solo gli Ismaeliti, ma anche i figli avuti da Chetura, la donna sposata dopo la morte di Sara, Ge 25:1-4).

Dunque, se ci fermiamo al livello letterale, quella terra non è stata destinata ai soli discendenti di Isacco, ma anche a tutti gli altri discendenti di Abrahamo (come abbiamo letto al punto 4, però, si tratta di una discendenza spirituale e di una terra spirituale).

Il problema dell'attuale conflitto non è nell'insufficienza della terra, ma piuttosto nella natura delle popolazioni che vi abitano: di Ismaele (Arabi) Dio rivela che "è come un asino selvatico (...); la sua mano sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di lui" (Ge 16:12); degli Ebrei Paolo afferma, citando i profeti: "Infatti il cuore di questo popolo si è indurito, e sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi (...)" (At 28:27).

In altre parole, manca Cristo nei cuori.

Ognuno di noi nasce con una natura peccaminosa e imperfetta; la soluzione, però, esiste, e l'ha provveduta Dio stesso: Cristo. Egli può cambiare il cuore di pietra in cuore di carne.

5. Il cristiano è contro le liti, le fazioni e le opere della carne in generale.

"Or io dico: Camminate secondo lo Spirito e non adempirete i desideri della carne; la carne, infatti, ha desideri contrari allo Spirito, e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; e queste cose sono opposte l'una all'altra, cosicché voi non fate quel che vorreste" (Ga 5:16).

Se crediamo davvero che Cristo sia il principe della pace, dobbiamo avere il coraggio di praticare questa realtà e di prendere posizione contro la guerra e l'omicidio, con la stessa naturalezza con cui diciamo "no" all'aborto. Il fatto che, secoli fa, il Signore avesse ordinato agli Israeliti lo sterminio dei Cananei non significa che Israele sia autorizzato a sterminare in modo perpetuo: la conquista di Canaan era stata decretata per un tempo, ed aveva una ragione spirituale, che oggi, per noi, rappresenta la vittoria della fede sul peccato e sull'idolatria. Non altro.

Conclusioni

C'è solo una via d'uscita per Israeliani e Palestinesi, ed è piegare le ginocchia a Cristo. Per quanto possa dispiacere, tutto ciò che sta accadendo è solo la conseguenza della ribellione del cuore e della disobbedienza alla Parola di Dio, e non avrà fine fino a quando non subentrerà un serio ravvedimento da entrambe le parti. Allora "tutto Israele sarà salvato" (Rm 11.26), e cioè sia il residuo israelita che quello palestinese.

Evitiamo di parteggiare, contaminandoci con pensieri e parole che contristano lo Spirito Santo e che disonorano il Vangelo, e preghiamo "per la pace di Gerusalemme" (Sal 122:6), sapendo che non possiamo pregare per la pace altrui se non abbiamo pensieri di pace in noi.

Dio ci benedica!